
“Centoanime” di Sabrina Corradini: un viaggio tra memorie, ombre e redenzione
Nel romanzo Centoanime, Sabrina Corradini orchestra con delicatezza e intensità una storia densa di suggestioni interiori, tra passato e presente, sogno e realtà, mettendo al centro il tema dell’identità, della fragilità emotiva e della rinascita personale. È un’opera intima e avvolgente che penetra nel cuore e nella mente del lettore, lasciando emergere le tensioni, i dubbi e le nostalgie di un’anima in bilico.
Livia, la protagonista, non è solo una donna che affronta un cambiamento nella sua vita: è lo specchio di ogni individuo che abbia mai cercato di risollevarsi da un crollo esistenziale. Il suo percorso attraversa una fitta rete di memorie familiari, oggetti antichi, presenze impalpabili e visioni oniriche che si fanno sempre più intense. La narrazione scava con precisione chirurgica nella sua psiche, mettendo in luce le sue insicurezze, i traumi passati e il conflitto interiore tra ciò che appare e ciò che si è davvero.
Attraverso le apparizioni misteriose, i sogni inquieti e le voci del passato, Livia entra in contatto con un universo altro, simbolico, in cui le “cento anime” rappresentano frammenti interiori, ricordi rimossi, desideri repressi. Il romanzo, infatti, assume anche i contorni di un cammino terapeutico: Livia si confronta con il dolore della perdita, con l’assenza di amore, con una madre autoritaria e un compagno che sembra incapace di comprenderla pienamente. Ma è proprio nel dialogo con l’ignoto, nel ritorno alle stanze abbandonate del suo io profondo, che la protagonista scopre una nuova possibilità di senso.
Corradini dimostra un’eccezionale sensibilità nel delineare le sfumature della mente femminile: la paura di fallire, il bisogno di essere accettati, la tendenza all’auto-sabotaggio e il desiderio di libertà interiore si intrecciano con una costante riflessione sulla propria storia e sul valore della memoria. Centoanime diventa così anche un romanzo sulla psicologia della rinascita, sull’importanza dell’ascolto di sé e sulla necessità di non fuggire dalle ombre, ma di integrarle, per diventare finalmente completi.
È un libro che tocca corde profonde, una lettura intensa che può diventare catartica, specie per chi ha vissuto momenti di crisi o ha conosciuto il peso del silenzio e dell’incomprensione.
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Trama: il viaggio di Livia tra i fantasmi del passato
La protagonista, Livia Sestini, è una donna in cerca di equilibrio dopo aver attraversato un periodo buio segnato dalla perdita e dall’insicurezza. Quando decide di iniziare una nuova vita trasferendosi in un antico appartamento di famiglia, ereditato dopo la morte del padre, non immagina che quel luogo, apparentemente immobile e dimenticato dal tempo, custodisca una memoria viva e inquieta. Le pareti, impregnate di silenzi e storie taciute, iniziano presto a restituirle voci, suoni, immagini. Il suo risveglio interiore comincia da qui.
Il palazzo settecentesco, austero e decadente, diventa da subito un personaggio silenzioso ma attivo, che accoglie e avvolge la protagonista in un’atmosfera ovattata e sospesa. Un senso di mistero avvolge ogni oggetto, ogni stanza chiusa, ogni scricchiolio notturno. Presenze impalpabili, visioni improvvise, dettagli fuori posto. Tra queste presenze spicca Viktor, un bambino enigmatico che appare e scompare come un’eco, e che sembra conoscere segreti che Livia stessa ha dimenticato. La sua voce flebile e poetica è quella di chi appartiene a un altrove indefinito, dove la realtà sfuma e l’invisibile prende forma.
Nel frattempo, Livia cerca di mantenere una parvenza di normalità: le cene con gli amici di un tempo, come Francesca e Luca, le conversazioni con il compagno Alberto, uomo solido e razionale, che sembra incapace di cogliere il tumulto interiore che si agita in lei. Ma più il tempo avanza, più Livia si sente attratta dal terzo piano dell’edificio, chiuso da decenni e intriso di memorie familiari che nessuno ha più osato toccare.
Lì, nascosto tra mobili antichi, quadri velati dalla polvere e oggetti dimenticati, Livia trova un piccolo quaderno azzurro, appartenuto a un uomo vissuto nel 1938. Il nome di una donna, Eleonora, e una data ricorrente – 16 aprile 1938 – diventano il punto di svolta: la chiave che apre il passaggio tra passato e presente, tra vita e morte, tra visibile e invisibile. Le parole scritte su quelle pagine sembrano rivolgersi a lei, come se la memoria di un amore perduto chiedesse ora di essere ascoltata e redenta.
Da quel momento, Livia inizia un percorso di esplorazione profonda, dove le sue stesse radici si intrecciano con le vite dimenticate che abitano quelle mura. Non è più sola: la casa la osserva, i ricordi la inseguono, le anime la invocano. Il viaggio diventa allora una discesa negli abissi dell’inconscio, una sfida con i propri fantasmi, un confronto con le figure genitoriali e con le scelte non fatte. È una lotta tra l’oblio e la consapevolezza.
Il tempo si frantuma. Le giornate si confondono. Le immagini del passato si sovrappongono a quelle del presente, e Livia, tra sogni inquieti, ricordi frammentari e messaggi simbolici, è costretta a scegliere: affrontare la verità sepolta o continuare a fuggire da se stessa.
Struttura narrativa: un romanzo a ritmi scanditi dal tempo interiore
Centoanime è costruito secondo una struttura narrativa originale e profondamente evocativa: ogni capitolo prende il nome da un giorno preciso, come se si trattasse del diario spirituale della protagonista, una sorta di mappa emotiva che guida il lettore lungo un cammino interiore di risveglio e trasformazione. Questa suddivisione temporale non rispecchia però una cronologia classica: il tempo in questo romanzo non è lineare, ma si muove secondo le regole della memoria, del sogno, dell’intuizione.
Ogni “giorno” del racconto corrisponde a una fase della coscienza di Livia, a una soglia da attraversare. Si passa da momenti di apparente tranquillità quotidiana a improvvise irruzioni dell’inconscio, in un ritmo che si dilata o si restringe in base alle emozioni. Alcuni capitoli sono immersi in atmosfere notturne, ovattate, quasi immobili, mentre altri si animano di tensione, presagi, epifanie. Il risultato è un tempo psicologico, che rispecchia lo stato d’animo della protagonista molto più di quello segnato dagli orologi.
Questa scelta strutturale contribuisce a creare un senso di sospensione costante. La narrazione diventa introspezione pura, uno scavo delicato ma costante nel cuore e nella mente di Livia. I ricordi riaffiorano senza seguire una logica precisa, le immagini del passato si intrecciano con il presente, e spesso non è chiaro se ciò che avviene sia reale o parte di un sogno, di una visione, di una suggestione emotiva. L’autrice gioca volutamente su questa ambiguità, creando un effetto di spaesamento che coinvolge profondamente il lettore.
La scrittura di Sabrina Corradini accompagna questa struttura con uno stile raffinato, quasi musicale. I passaggi più intensi si tingono di lirismo, con descrizioni che sembrano provenire da una dimensione simbolica più che materiale: la luce, le stanze, gli oggetti, i suoni, tutto viene caricato di una valenza poetica e interiore. I gesti quotidiani assumono il valore di riti, e la casa stessa diventa un palcoscenico dell’anima, dove ogni porta chiusa, ogni gradino, ogni quadro celato sotto un velo di polvere racconta una parte di sé.
In questa architettura narrativa, anche i personaggi secondari diventano segni più che persone, figure archetipiche che si affacciano nella vita di Livia per guidarla, sfidarla o metterla di fronte a una parte di sé. Così, Viktor, Francesca, la madre, Alberto non agiscono solo in funzione della trama, ma sono proiezioni psicologiche e specchi simbolici della protagonista.
Nel complesso, Centoanime è un romanzo che rompe gli schemi tradizionali del racconto realistico e si offre come esperienza sensoriale e mentale, un viaggio nella psiche raccontato per frammenti, visioni, sussurri. Un’opera in cui la forma stessa del racconto diventa contenuto, e la narrazione si fa rito di guarigione.
Stile e voce autoriale: eleganza evocativa e psicologia del dettaglio
Sabrina Corradini adotta uno stile colto, poetico, raffinato, capace di accarezzare la superficie delle cose per poi penetrarle in profondità, come uno sguardo che non si accontenta del visibile. La sua scrittura è quasi rituale, intrisa di simboli, gesti lenti, ritmi interiori che si dispiegano come i capitoli di una meditazione profonda. Le frasi fluiscono come pensieri sospesi, come se ogni parola fosse scelta per portare con sé un peso emotivo specifico, una vibrazione segreta. Il risultato è un linguaggio suggestivo e ipnotico, che immerge il lettore in un’atmosfera densa, intima, quasi sacra.
La voce dell’autrice è fortemente empatica, attenta ai minimi dettagli psicologici. Corradini non racconta i fatti: racconta come i fatti si depositano nell’anima. Le descrizioni non sono mai neutre: ogni oggetto, ogni stanza, ogni odore, ogni frammento di luce o di suono viene filtrato attraverso la sensibilità della protagonista, diventando un’estensione del suo mondo interiore. Anche i silenzi hanno un significato. Il non detto, il trattenuto, il sospeso sono elementi centrali in questa prosa che lavora per sottrazione, lasciando che sia il lettore a sentire ciò che i personaggi non riescono a confessare.
Uno degli aspetti più affascinanti dello stile di Corradini è proprio la sua capacità di tradurre in parole lo stato mentale ed emotivo della protagonista. Le emozioni di Livia non sono mai urlate, ma suggerite con sottile maestria attraverso movimenti impercettibili, sguardi sfuggenti, piccoli gesti quotidiani. L’inquietudine, la nostalgia, la solitudine, l’attrazione per l’ignoto e la paura del crollo interiore sono raccontate con una profonda sensibilità psicologica, che ricorda in parte la prosa di Annie Ernaux o di Virginia Woolf, con la loro attenzione ai moti della coscienza.
La casa, in questo contesto, non è solo uno spazio fisico, ma diventa la mappa dell’inconscio di Livia: i corridoi, le stanze chiuse, il terzo piano abbandonato rappresentano zone psichiche non ancora esplorate, memorie rimosse, sentimenti sopiti. Persino gli oggetti — una tazza di tè, un quaderno, una carta da gioco — diventano simboli carichi di senso, portatori di messaggi che trascendono il reale.
I dialoghi, mai banali, sono cesellati con cura: misurati, essenziali, spesso taglienti come bisturi, altre volte volutamente ambigui, quasi sussurrati, come se i personaggi temessero di disturbare l’equilibrio precario delle emozioni che li abitano. Ogni parola è pesata, ogni silenzio dice più di cento frasi. Anche i rapporti tra i personaggi — in particolare con la madre, con Alberto, con Francesca — sono costruiti su una tensione latente, su dinamiche psicologiche complesse che si rivelano lentamente, come fili che si intrecciano in un disegno più grande.
L’uso della musica (come l’Adagio “Al chiaro di luna” di Beethoven) e delle visioni oniriche costituisce un ulteriore elemento stilistico che contribuisce a creare un ponte tra coscienza e inconscio. La musica, in particolare, diventa una sorta di chiave per accedere a uno stato di coscienza alterato, in cui le “cento anime” si manifestano non tanto come fantasmi reali, ma come emergenze psichiche, memorie sepolte che chiedono di essere ascoltate e comprese.
In definitiva, la scrittura di Corradini è profondamente psicologica, non nel senso di didascalica o analitica, ma nel suo costante sforzo di cogliere l’emozione nel momento in cui nasce, di restituire l’esperienza umana nella sua forma più autentica e vulnerabile. È una scrittura che invita il lettore non a leggere, ma a sentire, a mettersi in ascolto del battito sommerso delle vite interiori.
Personaggi principali: archetipi dell’anima e voci del passato
Nel tessuto narrativo di Centoanime, i personaggi non si limitano a essere semplici attori di una vicenda, ma si elevano a figure archetipiche, simboli incarnati di tensioni interiori, voci di un passato irrisolto o energie necessarie alla trasformazione della protagonista. Ognuno di loro rappresenta una forza in gioco nella psiche di Livia, una sfida, una guida o un ostacolo, con cui deve confrontarsi per poter giungere a una nuova consapevolezza di sé.
Livia, protagonista e fulcro dell’intero racconto, è una donna complessa, in bilico tra forza e fragilità, tra desiderio di rinascita e paura del cambiamento. Il suo percorso è simile a quello di una iniziata in un rituale di passaggio: attraversa le stanze della casa come se stesse esplorando le stanze della sua coscienza. Le sue giornate sono fatte di piccoli gesti e grandi sussulti interiori, che la portano sempre più vicina al nucleo dolente della sua identità. Livia è razionale, ma attratta dall’inspiegabile; è ancorata al presente, ma prigioniera del passato. L’incontro con l’ignoto non la respinge: la interroga, la turba, ma anche la conduce verso una forma di risveglio emotivo e spirituale.
Alberto, il compagno, rappresenta l’opposto complementare. Uomo logico, pragmatico, ordinato, è per Livia una presenza tanto rassicurante quanto limitante. Simboleggia l’ancora, ciò che tiene fermi, ma anche la gabbia in cui si è rinchiusa per non affrontare il dolore. Alberto non comprende le ombre dell’anima, e non vuole comprenderle: le nega, le minimizza, come si fa con qualcosa di pericoloso. È il protettore del reale, del visibile, del controllabile. Ma in questa apparente solidità si nasconde anche un vuoto emotivo che Livia comincia sempre più a percepire.
Francesca, l’amica di sempre, è lo specchio speculare di Livia. È arte, colore, voce alta, energia vitale. Rappresenta il mondo dell’intuizione, della libertà, del corpo e del sentire. Francesca invita Livia a non reprimere, a lasciarsi andare, a vivere davvero. È un personaggio solare e inquieto al tempo stesso, che pur nella sua esuberanza cela anch’essa un bisogno di riconoscimento e appartenenza. Tra le due donne si gioca un legame intenso, affettivo e contrastato, che ha il sapore di un’amicizia di gioventù mai del tutto superata, e forse mai del tutto compresa.
Viktor, il bambino misterioso che appare come uscito da un sogno, è l’anima guida, la voce della coscienza infantile, la parte più pura e spirituale dell’essere. I suoi occhi sembrano custodire verità antiche, e i suoi comportamenti enigmatici lo pongono tra reale e immaginario. Attraverso Viktor, Livia inizia a vedere il mondo da un’altra prospettiva, a credere che ciò che è nascosto o invisibile possa essere profondamente vero. È lui che la mette in contatto con le “cento anime”, esseri impalpabili che chiedono ascolto. Viktor rappresenta anche il Sé bambino di Livia: la parte che osserva, che custodisce e che soffre in silenzio.
La madre di Livia è la personificazione del principio del dovere e della conservazione. Rigida, critica, a tratti glaciale, incarna la voce interiore del “si deve”, il peso delle aspettative, della genealogia e della reputazione. È un personaggio che sembra venire da un’epoca passata, dal tempo delle regole ferree e delle emozioni negate. Eppure, anche in lei esiste una fragilità nascosta, che traspare appena sotto la superficie del controllo. Il rapporto tra madre e figlia è uno dei più significativi del romanzo: fatto di non detti, scontri sottili e desideri mai confessati, è un nodo simbolico che Livia dovrà in parte sciogliere per trovare la propria voce.
Eleonora, la donna evocata dal quaderno del 1938, è il vero fantasma del tempo, ma non nel senso spettrale: è piuttosto l’eco di un’anima che ha amato, sperato e poi è rimasta sospesa tra i ricordi e l’oblio. Eleonora è il volto di tutte le vite spezzate, di tutte le storie che nessuno ha più raccontato. Diventa per Livia un’identificazione silenziosa, una figura speculare in cui rivedersi e da cui imparare. Attraverso Eleonora, il romanzo costruisce un ponte psicologico tra passato e presente, mostrando come la memoria non sia solo un’eredità, ma una responsabilità.
Temi centrali: identità, memoria, spiritualità
Centoanime è un romanzo che si muove con eleganza e profondità nei territori dell’interiorità, affrontando alcuni dei più grandi temi dell’esistenza umana. Sabrina Corradini intreccia le trame della narrazione con una riflessione continua sulla natura dell’essere, sulla memoria collettiva e individuale, e sul misterioso confine tra visibile e invisibile. Il romanzo si fa così specchio dell’anima, luogo simbolico dove interrogare le proprie radici, i propri desideri e le proprie paure.
La ricerca dell’identità
Livia è una donna in divenire, attraversata da un conflitto continuo tra ciò che è stata, ciò che gli altri vogliono che sia, e ciò che vorrebbe diventare. La sua identità si frammenta tra maschere sociali, aspettative familiari e ruoli interiorizzati, ma cerca un nucleo autentico che possa darle pace e senso. Questo tema si riflette nei suoi incontri con le altre figure femminili (Francesca, la madre, Eleonora) e nei luoghi che abita, in particolare nella casa, vero specchio della psiche. Centoanime mostra che l’identità non è un punto fermo, ma un processo in continua trasformazione, una “costruzione affettiva” fatta di memorie, scelte e rinunce.
Il peso della memoria
Il passato non è mai davvero passato. La memoria, in Centoanime, non è solo ricordo: è presenza viva, energia latente che condiziona il presente e chiede ascolto. I quaderni antichi, le fotografie, le stanze abbandonate, i profumi, i gesti quotidiani diventano veicoli della memoria, portali attraverso cui le vite precedenti riemergono. Il romanzo suggerisce che non si può guarire davvero senza riconciliare ciò che è stato: i dolori, le perdite, ma anche le speranze mai espresse. La figura della nonna, i racconti familiari, la storia del palazzo, sono fili che riconducono a una genealogia da accogliere, non da fuggire.
L’oltre visibile
Uno dei temi più affascinanti e sottili del romanzo è la presenza di un oltre. Le anime, i fantasmi, le visioni che accompagnano Livia lungo il suo percorso non hanno nulla di spaventoso: sono manifestazioni dell’invisibile, presenze spirituali che emergono quando l’anima è pronta a sentire. Corradini propone una visione della realtà stratificata, in cui ciò che sfugge alla logica razionale può rivelarsi essenziale per la comprensione profonda di sé. Non si tratta di un elemento sovrannaturale fine a se stesso, ma di una poetica della soglia: esiste qualcosa che abita “oltre” ciò che vediamo, e solo chi ha attraversato il dolore può davvero percepirlo.
Il ruolo della donna
Attraverso il personaggio di Livia, e il rapporto con le altre figure femminili – Francesca, la madre, Eleonora – emerge un universo complesso e stratificato, in cui la condizione della donna si rivela in tutte le sue contraddizioni. Ogni personaggio femminile porta con sé un aspetto di questa condizione: il desiderio di autonomia, la ribellione ai modelli imposti, la frustrazione per i sogni traditi, la necessità di essere ascoltate e riconosciute. La madre rappresenta la genealogia patriarcale, rigida e normativa; Francesca incarna l’urgenza del sentire e dell’autenticità; Eleonora è la donna perduta, cancellata dal tempo. Livia le contiene tutte, in una ricerca incessante di equilibrio tra tradizione e libertà.
Il silenzio e l’ascolto
Un tema trasversale che attraversa tutto il romanzo è quello del silenzio. Non solo come assenza di suono, ma come spazio interiore in cui può maturare la trasformazione. Livia è una donna che ascolta, più che parlare: ascolta le voci degli altri, i rumori della casa, i sussurri del passato. Il suo silenzio è spesso un luogo di sofferenza, ma anche il grembo in cui si genera una nuova consapevolezza. Allo stesso tempo, i personaggi che la circondano (Alberto, la madre) sembrano incapaci di questo ascolto profondo, e proprio questa incapacità li allontana da lei.
La spiritualità quotidiana
Infine, Centoanime è un romanzo profondamente spirituale, ma non religioso in senso confessionale. È spirituale nella misura in cui invita a riconoscere il sacro nell’ordinario, l’invisibile nel familiare, il miracolo nel dolore. La casa, le stanze, gli oggetti, i sogni: tutto può diventare un varco verso l’assoluto, se si ha il coraggio di guardare davvero.
Conclusioni: un romanzo da sentire più che da leggere
Centoanime non è solo un libro da leggere, ma una vera e propria esperienza da sentire. È un romanzo per chi ama le storie lente, introspettive, capaci di penetrare negli interstizi dell’anima e risvegliare emozioni sopite. Non si tratta di una narrazione da divorare, ma da assaporare: ogni pagina chiede attenzione, ogni parola è carica di un’eco interiore che continua a vibrare anche dopo aver chiuso il libro.
Sabrina Corradini ci consegna una favola contemporanea, intessuta di silenzi, memorie e sussurri. In Centoanime, ogni oggetto ha un’anima, ogni sogno una risonanza simbolica, ogni gesto quotidiano diventa rito. È un invito a rallentare, a tornare ad ascoltare ciò che si muove dentro, a riconnettersi con ciò che è stato dimenticato o rimosso.
Leggere Centoanime significa anche dialogare con le proprie ombre, con le parti non dette, con i desideri inascoltati. Significa accettare che dentro ognuno di noi esistano molteplici identità, ricordi, dolori e possibilità. Significa, in fondo, accogliere il mistero. E forse, proprio come Livia, scoprire che dentro di noi abitano davvero cento anime in cerca di ascolto.
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