“Da tenersi sotto chiave” di Veronica Triulzi

“Da tenersi sotto chiave” di Veronica Triulzi: quando la Sindone sfidava la censura

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Un libro prezioso per svelare i silenzi della storia

Con uno sguardo attento, documentato e sorprendentemente narrativo, Veronica Triulzi ci accompagna in un viaggio affascinante tra le ombre, i silenzi e i misteri della letteratura sindonica — quell’insieme di opere, spesso poco conosciute o dimenticate, dedicate alla Sindone di Torino, una delle reliquie più enigmatiche e studiate della cristianità. Ma l’autrice non si limita a ripercorrere la storia di questa tradizione letteraria: la sua indagine si concentra su tre casi editoriali emblematici, risalenti ai secoli XVI e XVIII, in cui le opere non riuscirono a vedere pienamente la luce o furono oggetto di pesanti interventi censori.

Triulzi ci conduce tra manoscritti inediti, edizioni corrette “a posteriori”, annotazioni criptiche e interventi ecclesiastici che hanno impedito a testi potenzialmente rivoluzionari di influenzare il pensiero del tempo. Ciò che emerge è un affresco ricco e sorprendente, in cui si intrecciano la devozione popolare, la prudenza della Chiesa, il controllo culturale e la fragilità della parola scritta. La Sindone, che già di per sé è un simbolo controverso e misterioso, diventa in queste pagine specchio delle tensioni teologiche e politiche che hanno attraversato i secoli.

In un panorama editoriale moderno sempre più affollato di testi sindonici — che spaziano dalla divulgazione scientifica alla riflessione spirituale — “Da tenersi sotto chiave” si distingue con forza e originalità. Non è solo una rassegna storica, ma un vero e proprio atto di recupero e restituzione della memoria, un contributo fondamentale che getta nuova luce su vicende editoriali dimenticate, riscattando dal silenzio e dall’oblio opere rimaste a lungo ai margini della storia e della conoscenza. Il lettore avverte, pagina dopo pagina, la passione di un’autrice che non si accontenta della superficie, ma scava in profondità, riportando alla luce voci messe a tacere e domande mai sopite.


L’approccio storico e documentaristico (con una forte componente psicologica)

Il libro si apre con una prefazione coinvolgente, capace di catturare fin da subito l’attenzione del lettore, ripercorrendo i punti cruciali del dibattito sull’autenticità della Sindone — quell’“immagine che non dovrebbe esistere”, come la definì lo studioso John Jackson. Triulzi affronta con lucidità il nodo irrisolto della datazione al carbonio 14 del 1988, che collocava il Lenzuolo tra il 1260 e il 1390, e rilancia con forza i risultati del riesame del 2019 a cura di Casabianca e Marinelli, che hanno evidenziato come i campioni sottoposti ad analisi non fossero affatto rappresentativi dell’intero telo, poiché prelevati da una zona contaminata. È un passaggio decisivo, non solo sul piano scientifico, ma anche emotivo, perché segna il riemergere di una verità più profonda, rimasta a lungo oscurata o distorta.

Da qui prende avvio una meticolosa indagine nella storia editoriale della letteratura sindonica, un territorio vasto, frammentato e ancora in gran parte inesplorato rispetto agli studi iconografici, teologici o scientifici sulla Sindone. Ed è proprio in questo spazio “marginale”, tra le righe di opere dimenticate, che si annida la vera sfida dell’autrice: ridare voce a ciò che è stato rimosso, a testi silenziati, a pagine che qualcuno — o qualcosa — ha scelto di sottrarre alla lettura del tempo.

Con rigore accademico, stile limpido e sensibilità narrativa, Veronica Triulzi costruisce una mappa filologica ed emozionale, che dal XVI secolo arriva fino al 1898, l’anno della svolta fotografica: quando l’avvocato Secondo Pia, con il suo scatto, rivelò un’immagine che lasciò il mondo intero senza parole, rovesciando per sempre la percezione della Sindone e scatenando reazioni di stupore, fede, ma anche di smarrimento.

Ciò che rende davvero unico questo lavoro è l’integrazione tra l’analisi documentaria e una sottile riflessione psicologica e simbolica. L’autrice non si limita a raccontare fatti o a restituire contesti, ma esplora anche il peso del non detto, dell’interdetto, del censurato, come fenomeni che non riguardano solo la stampa o la teologia, ma parlano anche alla nostra coscienza collettiva. Il lettore si trova così coinvolto in un viaggio tra fede e dubbio, tra illuminazione e sospetto, tra desiderio di sapere e paura della verità. È un’operazione quasi terapeutica, in cui l’indagine storica diventa strumento di guarigione della memoria.

Da tenersi sotto chiave”, allora, non è solo il titolo di un libro: è la metafora di un conflitto interiore, di una conoscenza trattenuta per timore, di una verità fragile che lotta per emergere. Ed è anche, implicitamente, un invito al lettore: osare aprire quelle stanze segrete della storia, per lasciar parlare ciò che è stato messo a tacere troppo a lungo.


I tre casi: Paleotti, Gallizia, Pasini – Voci sommerse della letteratura sindonica

Il cuore pulsante dell’opera di Veronica Triulzi è l’analisi dettagliata e appassionata di tre testi che, pur concepiti con profonda fede e rigore intellettuale, furono accomunati da un destino editoriale travagliato, frammentario o interrotto. Tre opere, tre autori, tre epoche diverse, ma una sola costante: l’ostacolo alla libera pubblicazione, imposto da motivazioni teologiche, istituzionali o perfino misteriose. È proprio da questi casi emblematici che si alza il sipario su una storia fatta di rimozioni, silenzi e scomode verità, che Triulzi riesce a riscoprire e interpretare con rara sensibilità.

Alfonso Paleotti – Esplicatione del Sacro Lenzuolo (fine ‘500)

Arcivescovo di Bologna e figura di rilievo nel panorama ecclesiastico del tardo Cinquecento, Alfonso Paleotti fu autore della prima monografia in volgare dedicata alla Sindone di Torino. Il suo scritto si presentava come un’opera di profonda devozione e meditazione teologica, costruita attorno all’osservazione del Lenzuolo, alle Scritture e ai testi dei Padri della Chiesa.

Pubblicato inizialmente senza troppi ostacoli, il testo venne però intercettato dalla censura ecclesiastica e sottoposto a revisione. Alcuni capitoli furono rimaneggiati pesantemente, altri probabilmente soppressi, e l’edizione successiva venne pubblicata “riveduta e corretta”. Un intervento che non riguardò solo la forma, ma che toccò in profondità i significati teologici e spirituali dell’opera, lasciando intuire quanto la Chiesa volesse controllare la narrazione attorno alla Sindone, impedendo derive mistiche o interpretazioni troppo ardite.

Il caso Paleotti è emblematico perché mostra, sin da subito, l’attrito tra slancio personale e prudenza istituzionale, tra libertà d’espressione e controllo dottrinale. È il primo tassello di una serie che rivela quanto la Sindone, nel suo mistero, sia stata percepita non solo come reliquia, ma anche come territorio sensibile e strategico nella battaglia per il consenso spirituale.

Pier Giacinto Gallizia – Della Santissima Sindone di Gesù Cristo (1714)

Passiamo al Settecento, con il canonico torinese Pier Giacinto Gallizia, figura colta e rispettata, autore di numerosi scritti a carattere storico e agiografico. La sua opera sulla Sindone — Della Santissima Sindone di Gesù Cristo — rappresentava un ambizioso tentativo di sistematizzare, analizzare e sintetizzare tutta la letteratura e la documentazione esistente fino a quel momento sulla reliquia.

Eppure, questo lavoro non vide mai la luce della stampa. Rimase allo stato di manoscritto, oggi conservato nella Biblioteca Reale di Torino, nonostante fosse dedicato nientemeno che a Vittorio Amedeo II, Re di Sicilia. Il fatto che un’opera così strutturata, firmata da un autore autorevole e rivolta a un sovrano, sia rimasta nel cassetto senza spiegazioni ufficiali, apre un inquietante ventaglio di ipotesi: timori politici, motivi religiosi, o forse la percezione che il testo contenesse elementi troppo problematici o “non allineati” con la linea ufficiale della Chiesa?

Triulzi analizza questo caso con sottigliezza, riportando alla luce l’intensità intellettuale e la profondità delle fonti a cui Gallizia attinse. Il suo studio non è solo una ricostruzione bibliografica, ma anche un’operazione di riscatto morale: restituire dignità a una voce spenta prima ancora che potesse farsi ascoltare.

Giuseppe Luca Pasini – Storia della Santissima Sindone (1723)

Il terzo tassello di questo trittico è rappresentato da Giuseppe Luca Pasini, raffinato storico della Casa Savoia e figura poliedrica, esperto di lingue antiche, autore di numerosi testi storiografici. La sua opera sulla Sindone, intitolata Storia della Santissima Sindone, anch’essa rimasta inedita, è frutto di uno studio meticoloso, colto e multidisciplinare, che intreccia dati documentari, analisi critiche e riferimenti alla cultura giudaica e classica.

Anche in questo caso, la mancata pubblicazione rimane avvolta nel mistero. Triulzi ne ricostruisce con grande competenza la genesi, le fonti e gli obiettivi, rivelando quanto quest’opera fosse avanti per i tempi. È probabile che il tono critico, la precisione storica e l’autonomia di giudizio abbiano reso il testo scomodo per l’ambiente ecclesiastico dell’epoca.

Il lavoro della Triulzi su Pasini è un esempio di filologia che si fa anche introspezione, laddove il recupero del manoscritto diventa un gesto di cura verso la memoria intellettuale e culturale. Non si tratta solo di salvare un documento, ma di onorare la fatica di chi ha cercato la verità in un’epoca in cui scrivere poteva costare il silenzio.

Tre nomi, tre epoche, tre voci diverse — accomunate da un destino simile e da una Sindone che, più che oggetto di venerazione, diventa specchio delle tensioni tra sapere, fede, potere e coscienza. Veronica Triulzi, con sguardo appassionato e metodo impeccabile, riporta alla luce questi testi e i loro autori, riaprendo pagine che qualcuno aveva scelto di tenere sotto chiave. Ma ora, finalmente, quelle chiavi sono state trovate.


Perché “da tenersi sotto chiave”?

Il titolo scelto da Veronica Triulzi non è solo evocativo: è il cuore pulsante del libro, il nodo simbolico attorno a cui ruota l’intero impianto narrativo e critico dell’opera. L’espressione “da tenersi sotto chiave” non nasce da un’intuizione poetica, ma affonda le sue radici in una reale annotazione manoscritta, rinvenuta su uno dei testi analizzati. Un appunto sobrio, quasi neutro nella sua formulazione, ma carico di ambiguità e di implicazioni profonde: era un semplice promemoria, un invito alla prudenza, oppure un vero e proprio ordine di censura?

Triulzi raccoglie questa traccia e la trasforma in una potente chiave di lettura, non solo filologica ma anche storica, politica e psicologica. Perché non si tratta solo di tre libri antichi lasciati in un cassetto, ma di intere visioni del mondo che sono state volontariamente oscurate, congelate nel tempo, sospese nell’oblio. Quelle parole scarne, “da tenersi sotto chiave”, diventano così il simbolo di un atto deliberato: mettere a tacere, nascondere, proteggere o forse reprimere.

Il titolo rimanda dunque a una volontà di controllo, a una paura del pensiero libero, o magari a una semplice ma potente forma di autocensura da parte degli autori stessi, consapevoli dei rischi che le loro opere potevano comportare in epoche di forti tensioni dottrinali. L’interrogativo si fa allora più ampio e coinvolgente: quante altre idee, riflessioni, intuizioni sono rimaste prigioniere di una serratura invisibile?

In questo senso, “Da tenersi sotto chiave” non è soltanto il titolo di un libro: è una metafora del silenzio imposto, della conoscenza trattenuta, dell’identità storica frammentata. Triulzi ci invita, pagina dopo pagina, a riscoprire la dignità di ciò che è stato rimosso, riportando alla luce testi dimenticati e restituendo valore a quei contenuti che, per motivi teologici, politici o puramente editoriali, non hanno avuto voce nel loro tempo.

C’è anche un altro livello, più intimo, quasi psicologico: tenere qualcosa “sotto chiave” è anche un meccanismo umano profondo. È ciò che facciamo con i ricordi dolorosi, con le verità scomode, con le parti di noi che ci spaventano o ci mettono in discussione. In questo senso, la Sindone stessa — misteriosa, indecifrabile, carica di fede e di conflitto — diventa una perfetta incarnazione del “non detto”, del “non mostrato”, dell’“indicibile”. E i testi censurati che la raccontano sono lo specchio di una memoria collettiva bloccata, che ha bisogno oggi, più che mai, di essere liberata.

Con questo titolo, l’autrice non si limita a denunciare un’ingiustizia editoriale del passato: ci chiama ad agire, a essere custodi consapevoli della memoria e chiavi viventi di un patrimonio culturale che attende di essere aperto, letto, compreso.


Un’opera per studiosi, appassionati e curiosi

Da tenersi sotto chiave” è un libro che parla a più livelli e a più pubblici. È, prima di tutto, un contributo imprescindibile per chi si occupa di Sindone e di storia della devozione cristiana, ma è anche molto di più: è un ponte tra mondi diversi, capace di affascinare tanto il ricercatore universitario quanto il lettore appassionato di storia, religione, misteri antichi e processi editoriali dimenticati.

Questo volume si offre come uno strumento prezioso di studio per chi indaga la storia della stampa tra epoche e censure, ma anche per chi si interessa di teologia, agiografia, spiritualità popolare e dinamiche culturali del potere ecclesiastico. In particolare, il tema della censura ecclesiastica, centrale in tutte e tre le vicende editoriali analizzate, apre un campo di riflessione vastissimo: quanto e come la parola scritta è stata sorvegliata, manipolata o soppressa nel corso dei secoli?

Veronica Triulzi dimostra di saper coniugare l’accuratezza filologica con la passione del racconto, unendo rigore e coinvolgimento emotivo. Le citazioni, tratte da fonti antiche spesso poco note, gli archivi consultati, e la ricca bibliografia critica, testimoniano un lavoro di ricerca profondo, ma mai pedante. Al contrario, la narrazione si snoda con equilibrio e intelligenza, alternando passaggi analitici a momenti narrativi dal tono più caldo e divulgativo, che rendono la lettura avvincente anche per un pubblico non specialista.

È raro trovare un testo che riesca a essere, nello stesso tempo, un saggio storico e un viaggio nell’anima dei libri. In queste pagine, la Sindone non è solo oggetto di culto o di controversia scientifica, ma diventa una lente per osservare i meccanismi della cultura, i silenzi del potere, e la tenacia degli uomini e delle donne che hanno cercato di tramandarne la memoria scritta.


Conclusioni

Da tenersi sotto chiave” non è semplicemente un libro su tre testi dimenticati: è un atto di restituzione, un gesto di giustizia verso il passato, un omaggio alla parola negata. È un’opera che ridà voce, dignità e spessore umano a tre autori e alle loro opere “interrotte”, riportandole alla luce con rispetto, profondità e competenza.

Ma c’è di più. Questo saggio rivela con forza quanto la storia della Sindone — oggetto tanto materiale quanto simbolico — sia intrecciata non solo alla fede e alla scienza, ma anche alla politica, alla censura, alla devozione popolare, alla stampa, e alla lotta per la libera circolazione delle idee. È una storia fatta non solo di lino e sangue, ma anche di inchiostro, penne, correzioni, silenzi e note a margine.

Chiunque voglia andare oltre l’immagine iconica della Sindone, e comprenderne il significato profondo come archetipo culturale, spirituale e letterario, troverà in questo libro una guida luminosa. Un invito a rileggere la storia non come una sequenza di date e documenti, ma come un tessuto vivo, fatto di voci, intuizioni, omissioni e resurrezioni culturali.

In definitiva, è una lettura indispensabile per chi crede che i libri — anche quelli che non hanno mai visto la luce — possano cambiare il modo in cui guardiamo alla fede, alla memoria, e al potere.


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Recensione a cura di Davide Cipollini

“Da tenersi sotto chiave” di Veronica Triulzi

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