“It’s Corona Time” di Marzy Sattar: il diario di una battaglia invisibile tra corpo, mente e spirito

“It’s Corona Time” di Marzy Sattar: il diario di una battaglia invisibile tra corpo, mente e spirito

Articolo a cura di Davide Cipollini

Tra i numerosi racconti nati dall’epoca della pandemia di Covid-19, pochi sono autentici e penetranti come “It’s Corona Time: Il diario della paziente Covid più giovane del Canton Ticino”, scritto da Marzy Sattar.
Non è soltanto la testimonianza di un corpo che combatte contro un virus sconosciuto, ma, soprattutto, il racconto struggente e sincero di una mente e di un’anima sottoposte a una prova estrema.

Questo libro, primo volume della serie Il Crisantemo (Storie vere) e disponibile su Amazon in formato Kindle, diventa così un documento prezioso: non un trattato medico, non una cronaca esterna, ma l’esperienza vissuta in prima persona, in tutta la sua dimensione psicologica, emotiva e spirituale.

Il corpo che cede, la mente che resiste

Quando il virus invade il corpo di Marzy, tutto inizia quasi in sordina: qualche giorno di febbre, stanchezza, una sensazione crescente di malessere. Ma la gravità della situazione esplode rapidamente, portandola in terapia intensiva, intubata e sospesa tra la vita e la morte.

In quel momento critico, l’esperienza fisica della malattia si intreccia immediatamente con l’esperienza mentale:
Marzy ci descrive la perdita di punti di riferimento, l’alterazione della percezione del tempo e dello spazio, la comparsa di allucinazioni così vivide da sembrare reali. Il fantasma di una bambina, il piccolo Ben, l’uomo con la tosse: figure che abitano un limbo mentale, tra sedazione e bisogno di trovare ancora connessioni umane in un mondo inaccessibile.

Questa dimensione psicologica è uno degli aspetti più potenti del libro.
La malattia, infatti, non si limita ad aggredire i polmoni: intacca l’identità, il senso del sé, la capacità di distinguere la realtà dal sogno.

La narrazione di Marzy restituisce con rara sincerità la paura di sparire senza lasciare traccia. La sensazione di essere diventata “solo un numero” in un reparto affollato, di non avere voce, di poter contare soltanto su una pallina da stringere tra le mani e su una bottiglia con cui soffiare per riabilitare lentamente i polmoni.

Il trauma invisibile: l’isolamento

Accanto alla devastante lotta fisica contro il virus e alla dura battaglia mentale per mantenere un barlume di lucidità tra sedativi, febbre e paura, nel diario di Marzy Sattar emerge in modo ancora più potente un trauma spesso sottovalutato: l’isolamento.

In un tempo sospeso, in cui il contatto umano era improvvisamente diventato sinonimo di pericolo, Marzy si trova tagliata fuori da ogni forma di relazione diretta con il mondo esterno. Non solo deve affrontare un’infezione potenzialmente mortale, ma deve farlo completamente sola, senza il conforto fisico di una carezza, senza il calore di un abbraccio, senza nemmeno il sollievo di vedere un volto familiare sorriderle da vicino.

L’isolamento fisico – la separazione dagli affetti più cari, la distanza imposta anche dagli stessi operatori sanitari, rigorosamente bardati e irriconoscibili – si traduce inevitabilmente in un isolamento emotivo e psicologico.
Non poter stringere una mano amica, non poter comunicare liberamente a causa delle corde vocali danneggiate dall’intubazione, non poter piangere per la debolezza estrema del corpo: questi sono traumi silenziosi ma profondissimi, capaci di scavare solchi invisibili nell’anima.

Marzy ci racconta come, persino dopo il risveglio dal coma farmacologico, la battaglia più dura non fosse contro il virus, ma contro la solitudine che le stringeva il cuore come una seconda, più crudele infezione.
Nel suo racconto ogni gesto, anche il più semplice, come sollevare una mano o sussurrare un debole “sì”, assume il valore di una conquista eroica. Ogni piccolo progresso fisico coincide con un tentativo disperato di ricostruire un legame con il mondo.

L’assenza di riferimenti familiari – un volto, una voce, una presenza amata – spezza le difese emotive della protagonista e la riporta a uno stato di fragilità primaria, quasi infantile. La richiesta che rivolge alla fisioterapista – “Non andare via, ti prego…” – è uno dei passaggi più strazianti del libro.
Non è una semplice richiesta di compagnia: è un grido ancestrale di bisogno, il bisogno più umano e basilare di tutti, quello di non essere abbandonati quando si è inermi.

Qui Marzy ci mostra senza filtri quanto la mente umana, anche adulta e abituata a combattere, sia profondamente dipendente dalla presenza degli altri per mantenere intatta la propria identità.
In isolamento, il tempo perde significato, lo spazio si contrae, e anche il concetto stesso di esistenza può vacillare.

La mancanza di interazioni significative genera un vuoto emotivo che, a lungo andare, può essere devastante quanto l’aggressione fisica della malattia.
Le “carezze invisibili” – uno sguardo gentile, una parola rassicurante, un gesto affettuoso – diventano ossigeno per l’anima, tanto quanto l’ossigeno reale somministrato per i polmoni.

La narrazione ci offre una straordinaria finestra su un tipo di trauma meno visibile ma non per questo meno lacerante: il trauma dell’isolamento in situazioni di vulnerabilità estrema.
È una solitudine non solo fisica, ma anche ontologica: la sensazione di esistere senza lasciare traccia, senza più un’eco, senza un’àncora emotiva cui aggrapparsi.

In questo senso, il diario di Marzy è un documento straordinariamente importante, non solo come testimonianza clinica o biografica, ma come atto di resistenza psichica: un disperato, coraggioso, umano tentativo di mantenersi vivi dentro, anche quando ogni legame esterno sembra reciso.

Il ritorno progressivo alla comunicazione, il piccolo gesto di soffiare nella bottiglia, la conquista di un sorriso dietro una mascherina: ogni elemento che rompe l’isolamento diventa un passo verso la ricostruzione dell’io, verso il ritrovamento della propria esistenza riconosciuta dagli altri.

“It’s Corona Time” ci insegna, con una forza dolce ma implacabile, che l’uomo non può vivere da solo, che la mente ha bisogno degli altri per non spegnersi, e che la vera guarigione non passa soltanto attraverso la medicina, ma anche attraverso l’amore umano, l’ascolto, la presenza.

La forza della fede e della gratitudine

In questo scenario di paura e di smarrimento, Marzy non cede mai del tutto al buio.
La sua narrazione è costellata da piccoli atti di resistenza psicologica: preghiere sussurrate, pensieri positivi, appigli a ricordi felici, ma soprattutto un profondo senso di gratitudine.

Ringraziare di essere ancora viva, anche quando la debolezza impedisce perfino di reggersi seduta.
Ringraziare per ogni respiro conquistato, per ogni piccolo miglioramento, per ogni infermiere gentile che porta un po’ d’acqua.
La fede, intesa non solo come religiosità ma come fiducia nella vita, diventa l’arma segreta con cui Marzy affronta la sua guerra personale contro il Covid-19.

Questa prospettiva dona al libro un tono luminoso, nonostante la gravità dei fatti narrati.
Non si tratta di facile ottimismo, ma di una consapevolezza profonda: ogni giorno vissuto è un dono, ogni sofferenza superata è una vittoria.

L’identità che rinasce

Uno degli aspetti psicologicamente più affascinanti del diario è la ricostruzione dell’identità.
Marzy entra in ospedale come una ragazza spensierata, abituata a prendere la vita con leggerezza; ne esce profondamente cambiata, consapevole della propria fragilità ma anche della propria forza.

La scoperta che uno dei medici che l’ha seguita – il Dottor Garzoni – è diventato una figura pubblica di riferimento durante la pandemia, diventa per Marzy una metafora del proprio percorso: come lui, anche lei ha vissuto sulla propria pelle il peso di una responsabilità invisibile.
La responsabilità di raccontare, di testimoniare, di dare un volto a chi, troppo spesso, durante quei mesi è rimasto una semplice cifra nei bollettini.

Alla fine, l’esperienza traumatica non distrugge l’identità di Marzy: la trasforma, la arricchisce, la radica più saldamente nella vita.

Un diario che è anche un monito

“It’s Corona Time” non è solo la cronaca di un caso clinico grave: è anche un monito per tutti coloro che, allora come oggi, tendono a sottovalutare la portata di ciò che è accaduto.
Marzy ci ricorda che il Covid-19 non ha colpito solo gli anziani o i malati: ha mietuto vittime tra i giovani, ha seminato paura e solitudine tra i sani, ha sfidato le certezze più radicate.

Attraverso il suo racconto, ci invita a non dimenticare: non solo il dolore, ma anche la solidarietà, il valore delle piccole cose, la bellezza nascosta nella resilienza umana.


Perché leggere “It’s Corona Time”

  • Per scoprire la dimensione interiore della malattia, oltre i dati clinici.
  • Per comprendere la resilienza psicologica di fronte a una crisi estrema.
  • Per ricordare l’importanza vitale dei legami umani.
  • Per ritrovare speranza, fede e gratitudine anche nelle ore più buie.

“It’s Corona Time” di Marzy Sattar è un’opera che scuote, commuove e invita a riflettere.
Un libro che ogni lettore dovrebbe affrontare non solo con la mente, ma anche – e soprattutto – con il cuore.

5,0 / 5
Grazie per aver votato!