
Solo se tu ci sarai di Roberta Rotondi
Un viaggio nel tempo, nella memoria e nelle ferite mai guarite
Roberta Rotondi firma un romanzo che è molto più di una narrazione: è una confessione a cuore aperto, un atto di coraggio emotivo, un gesto d’amore autentico verso chi, nella propria vita, ha dovuto fare i conti con l’assenza, il silenzio, il non detto. Solo se tu ci sarai è un patto silenzioso tra chi scrive e chi legge, un vincolo fatto di empatia e rispetto, che si costruisce pagina dopo pagina grazie a una scrittura limpida, ma profondamente carica di emozione e verità.
Non ci troviamo di fronte a un semplice racconto, ma a un’opera che attraversa le generazioni, che mette in scena i traumi dell’infanzia, la complessità dei legami familiari, e quel bisogno inappagato di riconciliazione che accompagna molte vite. Il romanzo diventa così lo specchio di tante storie taciute, di ferite coperte dal tempo, di emozioni mai elaborate fino in fondo. È una narrazione che ha il sapore delle cicatrici: dolente, ma necessaria.
Solo se tu ci sarai prende il lettore per mano – come recita il sottotitolo, “Prendimi per mano ancora una volta” – e lo accompagna in un percorso intimo e profondo, costruito con una delicatezza rara, ma che non teme di affondare le mani nel dolore, nei ricordi scomodi, nelle verità che fanno male. La trama, finemente intrecciata, si muove tra presente e passato, lasciando affiorare, come in una terapia emotiva, le ombre, i silenzi, le domande irrisolte.
È una storia che abita le pieghe dell’anima, che non cerca effetti speciali ma verità autentiche, e che restituisce dignità a chi, nel rumore del mondo, ha vissuto nell’invisibilità dei sentimenti non espressi. Un romanzo che arriva dove la parola spesso non basta, ma dove la letteratura può ancora guarire.
Il romanzo: una storia di donne, segreti e verità familiari
La vicenda prende avvio in un futuro prossimo, precisamente il 10 giugno 2040, una data che nella vita della protagonista, Eva, ha assunto un peso simbolico, quasi mistico. È il giorno del suo compleanno, ma anche il giorno della morte del padre, del suo primo matrimonio fallito e della scomparsa della madre. Tre eventi che si sono annodati attorno a quella data, creando una sorta di circolo emotivo che la protagonista non è mai riuscita a spezzare del tutto. Il tempo, per Eva, non scorre più in modo lineare: è come se fosse intrappolata in un eterno ritorno, dove ogni anniversario riattiva il dolore e ogni ricorrenza risveglia le ombre mai elaborate.
In questo contesto, il ritorno improvviso di Iris, una figura chiave del suo passato, arriva come un terremoto emotivo. Iris non è solo una conoscenza, ma la custode di un frammento di verità che Eva ha sempre cercato di rimuovere. Il fatto che anche la madre di Iris muoia proprio il 10 giugno non è un dettaglio narrativo, ma un simbolo potente: il trauma non è mai stato affrontato e si ripete, come una maledizione familiare tramandata da una generazione all’altra. La rivelazione della morte improvvisa e sospetta spalanca la porta non solo a nuovi interrogativi, ma anche al riemergere di verità taciute, di colpe condivise, di rimpianti che nessuna delle due donne ha mai avuto il coraggio di affrontare.
La narrazione si struttura su due piani temporali che si alternano e si rispecchiano: il presente del confronto e del dolore riaperto, e il passato dell’infanzia, fatto di piccole crepe che col tempo sono diventate fratture insanabili. In questo gioco di specchi tra presente e memoria, si alternano i punti di vista di Eva e Iris, in una costruzione narrativa che diventa quasi un doppio diario emotivo.
Dal punto di vista psicologico, il romanzo esplora in profondità le conseguenze della menzogna affettiva: il peso del non detto, l’effetto devastante delle ambiguità genitoriali, il ruolo dei figli in dinamiche familiari malsane. Eva ha vissuto nella convinzione di essere la “figlia ufficiale”, ma ha pagato un prezzo altissimo: ha dovuto accettare la complicità imposta da un padre che le ha chiesto di proteggere un segreto doloroso, negando la propria innocenza per salvare l’immagine di un genitore amato. Una forma di manipolazione emotiva che, nei bambini, lascia cicatrici profonde, spesso invisibili.
Iris, al contrario, è cresciuta ai margini, nell’ambiguità della sua posizione, sentendosi non riconosciuta, non vista, come se la sua esistenza fosse una realtà parallela, tollerata ma mai pienamente legittimata. Questo ha generato in lei un senso cronico di inadeguatezza, una rabbia silenziosa che ha plasmato la sua personalità: impulsiva, inquieta, fragile sotto la scorza dell’apparente sicurezza.
La figura del padre – affascinante, amorevole, ma anche egoista e profondamente contraddittorio – rappresenta il perno attorno a cui ruotano le esistenze delle due donne. Un uomo capace di grande affetto, ma anche di doppiezza emotiva, che ha diviso la propria vita senza mai assumersi davvero la responsabilità delle ferite inflitte. Non è un mostro, ma un padre imperfetto, come molti, che ha scelto la comodità del silenzio al posto del coraggio della verità.
L’incontro tra Eva e Iris è quindi molto più di una riconciliazione: è una seduta terapeutica spontanea, un laboratorio del dolore dove entrambe sono costrette a rielaborare le proprie convinzioni, a mettere in discussione l’identità che si sono cucite addosso, a domandarsi chi siano realmente, una volta smascherati i ruoli imposti dal passato.
Roberta Rotondi costruisce una trama che non è solo narrativa, ma profondamente psicologica: indaga i meccanismi della rimozione, della proiezione, dell’idealizzazione e del risentimento. I dialoghi tra le due protagoniste sono delle vere e proprie sedute di analisi condivisa, dove il lettore assiste – quasi in punta di piedi – al lento e sofferto processo di de-costruzione e ricostruzione interiore.
È in questa lentezza, in questa fatica del “dirsi le cose”, che il romanzo tocca le sue vette più alte. Perché Solo se tu ci sarai non offre consolazioni facili, ma la possibilità – rara e preziosa – di guardarsi dentro con onestà, e forse, finalmente, guarire.
Due voci femminili, una sola memoria spezzata
Roberta Rotondi costruisce due personaggi femminili magnificamente delineati, speculari e complementari, ma mai banali. Eva, la voce della razionalità, della compostezza e dell’orgoglio, è una donna temprata dal dolore, segnata da un passato che ha imparato a contenere per sopravvivere. È ferita, ma capace di trasformare quella ferita in forza. Ha costruito la propria identità sulle macerie di una famiglia apparentemente normale, ma minata da un segreto distruttivo. La sua forza, tuttavia, è anche il suo limite: la razionalità con cui affronta il mondo è spesso una corazza che le impedisce di lasciarsi andare davvero, di abbassare la guardia, di mostrarsi vulnerabile.
Iris, al contrario, è emotiva, istintiva, viscerale. La sua fragilità è esposta, nuda, visibile fin da subito. È una donna in cerca di un senso, di un equilibrio che non ha mai trovato, perché la sua esistenza è stata costruita su fondamenta fragili: una madre complicata, un padre che l’ha amata a metà, una sorellastra – Eva – da cui è sempre stata divisa da una barriera invisibile fatta di gelosia, paura e mancato riconoscimento. Iris non cerca solo verità: cerca una tregua interiore, una riconciliazione con il proprio passato e con se stessa.
Il loro confronto è potentissimo, ma mai urlato. Si consuma nei dettagli, nei silenzi, negli sguardi evitati e poi cercati. È un confronto che va oltre il livello narrativo: è generazionale, psicologico e persino spirituale. In ogni battuta, in ogni ricordo condiviso o negato, aleggia la parola “perdono” – una presenza costante, soffocata, taciuta, ma sempre lì, come un’eco che non smette di tornare. Un perdono che nessuna delle due è ancora pronta a concedere, forse nemmeno a sé stessa.
Rotondi ha il merito di rendere visibile ciò che nella vita reale spesso resta sotterraneo: la complessità del rapporto tra donne cresciute in contesti disfunzionali, segnate dalla stessa figura maschile eppure educate a pensarsi come rivali, come due poli opposti della stessa verità negata. Eva e Iris non sono solo due donne: sono due possibilità, due reazioni al dolore, due esiti diversi dello stesso trauma irrisolto.
La forza del romanzo si manifesta con decisione nei flashback dell’infanzia, ambientati nel 1986 e nel 1988, che offrono uno spaccato intimo e drammatico delle due bambine che erano. Rotondi scrive con la delicatezza di chi conosce bene il mondo dell’infanzia e sa quanto i traumi vissuti in quella fase lascino solchi profondi. Eva bambina scopre la verità nel modo più brutale possibile: aprendo per sbaglio una porta, trova suo padre con un’altra donna. Non ha gli strumenti per capire, ma capisce lo stesso. E il padre, invece di proteggerla, la ingabbia in una bugia: le racconta una favola tossica, trasformando la realtà in finzione e affidandole un segreto più grande di lei.
Iris, dall’altra parte, vive nell’ombra, nell’attesa, nella solitudine. È una bambina che si aggrappa alla gamba del padre sperando che resti, che inventa mondi pur di giustificare la sua assenza, che si sente seconda in una gara che non ha mai scelto di correre. Anche lei è una vittima, inconsapevole, della dinamica narcisistica di un padre ambivalente, capace di dare amore ma incapace di gestirne la responsabilità.
Il segreto che le unisce – un padre diviso tra due famiglie, due vite parallele e mai pienamente assunte – non è solo un fatto narrativo, ma un nucleo psichico attorno a cui si coagula tutto il loro disagio. È il nucleo del trauma, il punto cieco da cui tutto si origina. E proprio attorno a quel segreto, custodito, rimosso o manipolato, si costruisce l’identità spezzata di entrambe.
In questo senso, il romanzo di Rotondi è anche un romanzo dell’elaborazione, del passaggio da una memoria frantumata a una nuova possibile forma di consapevolezza. L’autrice non offre soluzioni facili: mostra la fatica di ricordare, l’ambiguità dei sentimenti, il peso delle aspettative e il lento cammino verso un possibile, imperfetto, riconoscimento reciproco.
Eva e Iris non cercano vendetta, né redenzione: cercano un posto nel mondo, un modo per dirsi che, nonostante tutto, ci sono state. E che forse, dopo anni di silenzi e ferite, possono esserci ancora. Insieme.
Una scrittura emotiva, autentica e consapevole
Il linguaggio scelto da Roberta Rotondi è una delle colonne portanti del romanzo: fluido, empatico, profondamente umano. Non è una scrittura costruita a tavolino, ma una prosa che nasce dalla pancia, dal cuore, da una zona interiore dove risiedono le emozioni più vere. Ogni frase è misurata, ma mai fredda. Ogni parola è scelta con cura, ma non perde mai il suo calore. Rotondi riesce a commuovere senza mai scadere nella retorica o nel melodramma, perché ciò che racconta non è “fiction” nel senso più classico del termine, ma una rappresentazione intima della sofferenza, dell’amore, del rimpianto e della crescita.
Già nella prefazione, l’autrice rivela che questa storia è stata una sfida personale, un cammino narrativo ed emotivo compiuto con rispetto e responsabilità. Raccontare vicende ispirate a una realtà vissuta da altri non è mai semplice: richiede empatia, equilibrio, e la capacità di mettersi al servizio della storia altrui senza invaderla. In questo, Rotondi riesce in modo mirabile. Il libro diventa così non solo un romanzo, ma anche un dono, un atto di riconoscenza verso chi ha confidato la propria verità, offrendo materia viva, umana, fragile, da trasformare in racconto.
Questa origine reale dona al testo una densità emotiva tangibile. I dettagli quotidiani – una Fanta versata sul pavimento, il profumo delle spezie, una fotografia nascosta in un cassetto – non sono mai semplici elementi descrittivi: sono attivatori di memoria, nodi sensoriali attorno ai quali si muovono i sentimenti più profondi. Ogni gesto, ogni parola, ogni silenzio racchiude un significato psichico, spesso legato a una mancanza, a una perdita, a un bisogno di contatto emotivo.
I dialoghi sono forse uno degli aspetti più riusciti del romanzo. Sono veri, credibili, calibrati sul carattere di ciascun personaggio. Non si limitano a “muovere la trama”, ma sono strumenti psicologici: rivelano ciò che viene detto e soprattutto ciò che non si riesce a dire. Rotondi coglie con grande sensibilità quella zona grigia in cui la comunicazione si inceppa, dove il dolore deforma le parole o le trattiene del tutto. Ed è proprio in quegli spazi vuoti che il lettore avverte il peso delle emozioni: le pause, i silenzi, gli sguardi sfuggenti diventano carichi quanto un grido.
La scrittura stessa, in questo senso, assume una funzione terapeutica: è catarsi e presa di coscienza, per l’autrice e per i lettori. È una scrittura che abbraccia chi ha sofferto in silenzio, chi si è sentito escluso, chi ha cercato per anni un senso al proprio dolore. La narrazione di Rotondi non giudica, non pretende, ma accoglie. Rende visibile l’invisibile, dà voce a quelle vittime silenziose delle dinamiche familiari che, per troppo tempo, sono rimaste mute, ingabbiate nel senso di colpa, nella vergogna o nel timore di non essere credute.
C’è, in tutto il romanzo, una consapevolezza narrativa matura: Roberta Rotondi sa bene che il dolore non si racconta per impressionare, ma per liberare, per creare connessione. E allora la sua scrittura diventa strumento di vicinanza, una mano tesa verso chi ha vissuto esperienze simili, verso chi porta dentro di sé memorie spezzate, affetti interrotti, identità in cerca di una radice.
Non si tratta, insomma, solo di un’opera di narrativa: Solo se tu ci sarai è anche un gesto letterario e umano di riconciliazione, un invito a non lasciare che il passato ci definisca, ma a riconoscerlo, attraversarlo e infine trasformarlo.
Temi e riflessioni: amore, famiglia, identità
Solo se tu ci sarai è un romanzo ricco di tematiche universali, affrontate con sensibilità e profondità psicologica. Non si limita a raccontare una storia, ma scava nell’animo dei personaggi e, attraverso di loro, porta alla luce nodi emotivi che riguardano molti lettori. Il testo agisce come uno specchio interiore, riflettendo inquietudini, desideri, dolori e memorie familiari irrisolte. Di seguito, alcuni dei temi più forti che attraversano l’opera.
Il peso della verità
Uno dei nuclei più significativi è il peso della verità, soprattutto quella negata. La verità, in questo romanzo, non è un punto di partenza, ma un traguardo faticoso, conquistato attraverso dolore e confronto. Per anni, Eva e Iris sono vissute all’interno di narrazioni falsate, costruite su mezze verità, omissioni, bugie ben confezionate. La verità taciuta dai genitori non è solo una colpa: diventa una forma di violenza psicologica, perché priva le protagoniste della possibilità di capire chi sono veramente.
La verità, quando arriva, non è mai neutra. Fa male, rompe equilibri, ma diventa anche strumento di liberazione. Il romanzo mostra chiaramente che non conoscere il proprio passato impedisce di costruire un futuro solido. Solo attraversando la verità – anche la più dolorosa – è possibile guarire e andare avanti.
Il perdono
Strettamente legato alla verità è il tema del perdono. Ma qui il perdono non è una parola astratta o moraleggiante: è un processo lento, imperfetto, spesso inconcluso. Eva e Iris devono prima imparare a perdonare se stesse, per le reazioni, per i silenzi, per le distanze. Poi, se possibile, anche gli altri. Il perdono, nel romanzo, non si presenta come una redenzione immediata, ma come una possibilità. È faticoso, ma è anche l’unica strada per sciogliere il rancore e trasformare il dolore in comprensione.
La maternità e la genitorialità
Altro tema centrale è quello della genitorialità, in particolare vissuta attraverso gli occhi delle figlie. Il romanzo offre prospettive diverse sulla figura materna e paterna, mostrandone la complessità. I genitori non sono né eroi né colpevoli assoluti. Sono esseri umani con fragilità, paure, limiti. La madre di Iris, ad esempio, è una figura problematica, ma anche profondamente sola. Il padre, tanto amato quanto idealizzato, si rivela incapace di sostenere il peso delle sue scelte.
La maternità, in questo contesto, è osservata anche nel suo aspetto più silenzioso e vulnerabile: la madre che attende, che spera, che sbaglia, ma anche quella che ama nel modo in cui sa. Allo stesso tempo, il romanzo ci invita a riflettere su cosa significhi essere figli: accettare che i genitori non siano perfetti, che non tutto può essere spiegato, ma che tutto può – forse – essere compreso.
L’identità femminile
Solo se tu ci sarai è anche un romanzo sull’identità femminile e sul lungo cammino per costruirla. Eva e Iris rappresentano due modi diversi di affrontare il dolore e la solitudine. Entrambe, però, sono impegnate in un percorso di definizione di sé che passa attraverso il confronto, la rottura, e infine la possibilità del dialogo. La loro identità non è mai fissa, ma in costante trasformazione. Si costruisce tra ricordi, eredità emotive, desiderio di riscatto e bisogno di essere finalmente viste, riconosciute, amate per ciò che sono, e non per ciò che gli altri hanno voluto che fossero.
La memoria simbolica: odori, colori, oggetti
Un altro aspetto toccante del romanzo è l’uso raffinato di elementi simbolici per evocare la memoria e le emozioni. Rotondi inserisce nel racconto oggetti e dettagli sensoriali che diventano àncore mnestiche: il profumo del gelsomino, la Fanta bevuta nei momenti speciali, le spezie moldave che sanno di infanzia lontana, il disegno a pastello, l’acquerello che sfuma i contorni delle cose come fa la memoria col passato.
Questi elementi non sono semplici abbellimenti descrittivi, ma veri e propri portali emotivi. Attraverso essi, il lettore entra nel mondo interiore delle protagoniste, sente ciò che hanno sentito, si immerge nella loro memoria come se fosse la propria. È un uso narrativo della simbologia estremamente efficace, capace di trasformare il concreto in emozione.
In memoria di Desiré
Il libro è dedicato “alla piccola Desiré”, un nome sussurrato, ma che apre uno squarcio profondo su ciò che il romanzo rappresenta: un omaggio intimo e sentito a chi ha vissuto una storia di dolore, silenzio e invisibilità. La dedica non è un gesto di forma, ma una dichiarazione di senso. “Desiré” non è solo una persona, è anche un simbolo di tutte le bambine e i bambini che hanno visto, capito e sofferto troppo presto. È una memoria viva, che l’autrice custodisce e trasforma in narrazione, affinché non venga dimenticata.
Il romanzo, in questo modo, si fa atto di giustizia poetica, gesto letterario e umano che accende una luce su vicende troppo spesso ignorate, che appartengono alla sfera del privato, ma che meritano uno spazio nella letteratura proprio perché sono universali.
Conclusione
Solo se tu ci sarai è un romanzo che colpisce, che resta dentro, che continua a vibrare anche dopo l’ultima pagina. È il ritratto delicato di una sofferenza familiare, silenziosa ma costante, di un amore imperfetto, fatto di gesti incompleti, di parole non dette, ma presenti nella memoria.
È una storia che affronta il dolore con dignità, che non offre risposte semplici, ma pone domande autentiche: cosa ci definisce? Siamo davvero liberi dalle ferite della nostra infanzia? Possiamo perdonare chi ci ha ferito senza perdere noi stessi?
È un romanzo per chi non ha paura di sentire. Per chi sa che a volte il dolore è necessario per aprire una strada, e che anche nei legami più complicati può celarsi un seme di verità. Per chi crede che le storie – quelle vere – possano cambiare il nostro modo di guardarci dentro.
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Recensione a cura di Davide Cipollini
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